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SPECIALE "L'INSEGNANTE DI CANTO"

LA PAROLA AGLI ALLIEVI

Ecco l'annunciato seguito dello speciale di www.cantarelopera.com dedicato al rapporto tra allievo e insegnante di canto: un tema che riscalda gli animi.
Dopo aver pubblicato le illustri testimonianze di docenti come Antonio Juvarra che ci ha rilasciato una lunga e apprezzatissima intervista, Massimo Sardi, Patrizia Morandini e Valter Carignano, ora i protagonisti diventano loro: gli allievi. Coloro che si dedicano a coltivare il proprio talento con passione ma anche con tanta fatica, che cercano un rapporto umano oltre che professionale con chi ha il compito di essere il punto di riferimento in questo percorso lungo e complesso.
Alcuni di loro hanno risposto con entusiasmo e impegno al nostro invito e alle nostre domande per condividere con noi e con i colleghi “fiori e spine” di questa arte.
E dalle risposte ci sembra che siano molti, sia gli uni che le altre.
Le domande, preparate da Giulia, la nostra esperta di tecnica vocale potete leggerle qui

Questi i sei interventi che abbiamo scelto, tra i tanti, solo perché ci sono sembrati rappresentativi e, in qualche caso, “emblematici”.
Per i commenti vi aspettiamo sul forum! http://cantarelopera.forumup.it/

Agli allievi dunque, la parola!

Vuoi dire la tua? Scarica le domande e invia le risposte a giulia@cantarelopera.com, oppure iscriviti al Forum
CARLA: ho dovuto cantare trattenendo le lacrime... MARIA: sette insegnanti in undici anni e una “spiegazione” al maestro Juvarra... BRUNO: ho trovato la “naturalezza”.
Il mio rapporto con la mia attuale insegnante di canto è davvero buono, sia dal punto di vista didattico che da quello umano… Se così non fosse, avrei sicuramente cambiato. Per questo motivo voglio cogliere questa occasione per offrire la mia testimonianza, parlando dell’insegnante che per cinque lunghi anni avrebbe dovuto formarmi, guidarmi e seguirmi in conservatorio.
Non faccio nomi, ma si tratta di un maestro molto conosciuto e spesso chiamato nelle commissioni di vari concorsi di canto.
Didattica: il suo pensiero è che “la tecnica non esiste, il diaframma lavora da solo e non si può governare”, e che per cantare è sufficiente “respirare con le vertebre fluttuanti e…pensare di cantare”.
Rapporto umano: non rientravo tra i suoi preferiti, quelli che lui non correggeva quasi mai, quelli che avevano una bella voce e che dunque anche se sbagliavano erano comunque ascoltabili…Ad ogni errore mi faceva ripetere il passaggio mille volte (praticamente ogni battuta) senza darmi alcuna ulteriore indicazione che non fosse “pensa di cantare” e guardandomi sconsolato quando il passaggio veniva ripetuto esattamente uguale al precedente, fino a dirmi che non sapeva più cosa fare con me…
Una sola volta, trattandomi come un caso disperato, è riuscito a farmi piangere davanti a tutta la classe, ma non si contano le volte in cui, per non dargli questa soddisfazione, ho dovuto cantare mentre trattenevo le lacrime e reprimevo quello che si agitava dentro di me…Non dimenticherò mai frasi come: “i tuoi suoni sono inascoltabili”, “se i suoni non sono emessi perfettamente, la tua voce risulta fastidiosa”, “tu non potrai mai cantare Bellini perché è troppo scoperto” e “tu hai bisogno che l’accompagnamento mascheri la tua voce”, “se dopo tutto questo tempo canti ancora così, prendi in considerazione l’idea di lasciar stare”.
Credo che il tutto si commenti da solo e vorrei solo richiamare la vostra attenzione su quali effetti devastanti possa avere un maestro simile nella crescita psicologica, ma inevitabilmente anche nella resa canora di un ragazzo e dunque sulla grande responsabilità che la figura dell’insegnante di canto viene ad assumere.
Sentendomi ripetere per anni queste cose, anche se razionalmente sapevo che erano false, ho sviluppato nel mio inconscio l’idea di essere un caso umano, mi sono chiusa al canto fino ad aver paura di aprir bocca, mi sono convinta di avere una brutta voce e si è radicata in me un’insormontabile paura del giudizio altrui…
Il tutto mi ha completamente annientata: come poter solo pensare di sostenere un’audizione o un concorso con questo stato emotivo?

L'attuale è il mio settimo insegnante di canto in circa 11 anni.
Definirei ottimo il rapporto che ho con lui.
Mi sento seguita come vorrei, ma non mi sento apprezzata perché il mio maestro riscontra ancora in me diversi difetti che stiamo cercando di correggere (studio con lui dall’agosto scorso). In pratica riteneva che avessi un’impostazione gravemente errata perché tutta sbilanciata verso la punta del suono, ma senza un'adeguata cassa di risonanza, quindi “a gola stretta”; inoltre giudicava errato anche il modo che avevo di “appoggiare” e il fatto che “non sostenessi” i suoni col fiato.

Sono soddisfatta, tranne che del fatto che all’inizio mi ha detto che sono un mezzosoprano lirico, mentre da qualche settimana ha affermato che sono un soprano (ma non di che tipo, di certo non un soprano leggero!).
Sembrerà banale, ma il consiglio che vorrei dare agli insegnanti è quello di essere molto preparati un po’ su tutti gli aspetti della tecnica vocale.
Io purtroppo ho avuto insegnanti impreparati sotto diversi aspetti. Ad esempio per far crescere una voce inizialmente piccola, mi hanno fatto spingere tutto il suono verso la maschera e il naso in maniera esagerata invece di cercare di allargare le cavità, mi facevano appoggiare in maniera spasmodica pensando che questo bastasse ad ingrandire il suono, oppure mi facevano fare tutte le note basse di petto, ecc.
Ovviamente un insegnante non dovrebbe avere invidie o gelosie se l’allievo desiderasse entrare in conservatorio o decidesse di cambiare insegnante.
Inoltre, non dovrebbero spingere un allievo a portare a una master class o a un saggio un brano che sente scomodo, (ad esempio troppo acuto), perché probabilmente alla master class o al saggio gli verrà peggio che a lezione e farà una figuraccia...
Ho letto le interviste del M° Juvarra e l'intervento del M° Carignano.
Ho una spiegazione per il maestro Juvarra.
Nell’intervista dice che non capisce quei ragazzi che vanno a lezione da un insegnante per 7-8 anni senza concludere quasi niente. Il fatto si spiega così: un ragazzo alle prime armi e che non ha nessuno che lo possa consigliare, sceglie il suo primo insegnante, o i primi, a caso, e quando vede che non apprende più di tanto, spesso pensa che la colpa sia sua, perché non ha talento, perché non riesce a capire o a mettere in pratica le spiegazioni dell’insegnante, ecc. A volte (o spesso ?) sono gli insegnanti stessi che dicono queste cose all’allievo, mentre magari sono loro che invece non sanno come insegnare...

Quello con il mio maestro era un rapporto di grande fiducia, quasi cieca direi. Ma col passare degli anni i problemi non venivano risolti.
Credo sia possibile migliorare il rapporto con il proprio insegnante nel modo più drastico, ovvero: cambiare maestro. Secondo me l’aspetto più importante e forse più complicato è capire i limiti del proprio insegnante e se sia giusto o meno cantare in un determinato modo. Il mio docente non era consapevole della naturalezza della voce, anche perché è stato un grande cantante con una natura eccezionale. Mi faceva sempre enormi complimenti sulla qualità della mia voce, ma le lezioni col passare degli anni diventavano monotone e ripetitive. Era più il tempo che parlava d’altro pittosto che vocalizzare e questo perché non aveva più nulla da insegnarmi.
Cambiare maestro è stato duro per me, proprio perché avevo un ottimo rapporto con lui. E' stato per me un distacco traumatico, ma necessario per capire dove stavo sbagliando e per riuscire progredire.
Ma ora sono molto contento, ho trovato un bravissimo maestro e sono molto soddisfatto: oltre a sapere quali sono i margini di miglioramento, so come studiare per ottenere ciò che mi manca.
Forse un consiglio che vorrei dare a chi intraprende questa difficile professione è di farlo solo se si conoscono i meccanismi che ci permettono di cantare veramente bene. Un vero maestro di canto, un maestro moderno intendo, non può più limitarsi a dare spiegazioni vaghe o poco chiare su come funziona “questa macchina”. I concetti della scuola antica, ossia pensare di portare il suono avanti, tenere la gola aperta come se si pensasse ad uno sbadiglio, cantare sul fiato, non hanno più alcun senso, secondo me, se non sono coadiuvati da una conoscenza meccanico-funzionale, scientifica e quindi moderna del canto. Penso che ad oggi il canto non sia più un mistero, ma possiamo veramente “vedere” ciò che cantiamo.
Ho letto l’intervista al Maestro Juvarra. La ritengo una grandissima lezione di canto. Quello che dice rispecchia perfettamente ciò che cercavo in un docente di canto e che finalmente ho trovato: la “naturalezza”.

GIOVANNA: adoro la mia insegnante ma spesso non capisco cosa dice!

FRANCESCA: solo piccole crisi passeggere e una richiesta di chiarimento al M° Juvarra.

GABRIELE: i veri insegnanti siamo noi!

Innanzitutto voglio precisare che l'insegnante con la quale studio è stata una grande cantante e ha calcato i maggiori palcoscenici internazionali, anche se poi ha deciso per un ritiro precoce dalle scene.
Io, dal punto di vista umano, la adoro. E', come dire, “eterea”, ha una voce limipida e quando fa gli esempi, anche se sono dei vocalizzi, sento una specie di magìa intorno a me.
Dunque nutro per lei, oltre che ammirazione e rispetto, una grande simpatia per questo suo carattere così poco pragmatico: sprizza musicalità da tutti i pori!
Ho però un grande problema con lei: spesso non capisco cosa dice!!
Davvero, usa un linguaggio a volte oscuro. Mi dice ad esempio, di mettere la voce nel “buco del fiato”, oppure di “schiacciare la lingua”, o di “sentire la risonanza dal palato in su.” Si, ma, cosa significa esattamente? E poi, come si fa?
Lei mi fa sempre degli esempi vocalmente illuminanti, ma poi sta a me scervellarmi per capire come fare.
Ho provato in tanti modi ad esprimerle questa mia difficoltà, ma lei mi ripete “non capisci...” oppure “si, lo so, è difficile, non tutti possono imparare a cantare bene” e mi crolla il mondo addosso.
Per cui adesso mi registro tutte le lezioni e me le riascolto in treno (faccio 150 km due volte a settimana per andare da lei...).
Cerco dunque io di entrare nella sua “lunghezza d'onda”.
Sembrerà paradossale, ma è così: sono io che tento di adattarmi a lei e non viceversa.
D'altronde ho una tale ammirazione per il suo modo di cantare che credo, in questo caso, di non avere altra scelta.
Non mi sento apprezzata per niente, ma seguita tantissimo. Ho dovuto imparare a non farmi destabilizzare dai suoi giudizi altalenanti sulle mie potenzialità.
A volte mi dice che sono sulla giusta strada, altre ci blocchiamo per ore su una frase finchè non riesco a fare quello che lei vuole.
Ad onor del vero, è l'unica insegnante che mi fa studiare le opere dall'inizio alla fine, tutte, compresi “tagli” e recitativi. E ritengo che questa sia una cosa importantissima.
In passato ho sempre pensato di cambiare insegnante, adesso no. Sono convinta, che, nonostante le difficoltà di cui ho parlato, lei sia la migliore che possa trovare.
Non intendo dare consigli alla mia insegnante, tanto sarebbe inutile. Mi basta sentirla cantare per capire tante cose. Ma ad un docente di canto in generale si: sforzarsi di parlare un linguaggio comprensibile, senza immagini troppo astratte. O almeno, assicurarsi che l'allievo abbia capito.
Il Maestro Juvarra con la sua intervista mi ha incantato. E' sulla stessa linea della mia insegnante - lo ying e lo yang della voce sono elementi ai quali penso ogni giorno - e mi ha dato una sorta di serenità da “autoassoluzione” per i difetti che non riesco, nonostante gli sforzi, a superare.
Il Maestro Carignano mi ha incuriosito, così come il Maestro Sardi: mi piacerebbe provare a fare lezione con lui. La Signora Morandini ha detto in poche parole quello che io penso del rapporto tra alunno e insegnante.
A Giulia: perché non organizzi un mega incontro con questi Maestri?
Sarebbe una bellissima occasione di confronto.

Definirei il rapporto con il mio maestro di canto “di amore-odio”. Magari declinato in sfumature meno estreme, ma in sostanza è così: ci sono periodi in cui si va più d’accordo e si lavora in modo più proficuo e viceversa.
A volte penso che eviti di farmi notare alcuni errori per non risultare troppo “pedante”. Questo però crea solo ulteriore tensione che peggiora ancora di più l’esecuzione e fa sì che “mi blocchi” più spesso. Certe volte non mi sento tanto apprezzata. Penso che questo fatto possa essere molto disarmante, soprattutto all’inizio, quando ancora si è molto insicuri circa la propria tecnica e la propria “bravura”. Mi è capitato spesso che l’insegnante elogiasse altri allievi, magari con un talento naturale o con un bel “timbro”. Ovviamente in questi casi è facile lasciarsi prendere dai dubbi sulla “bellezza” della propria voce e demoralizzarsi. Ho pensato di cambiare, ma alla fine non l’ho mai fatto perché il rapporto si è sempre risollevato dalle piccole crisi passeggere, determinate di volta in volta da difficoltà che sembravano insormontabili, ma che poi si sono sempre risolte (per ora!) nel giro di qualche mese.
Inoltre la mia insegnante organizza dei masterclass con un collega esterno per cui periodicamente si ha la possibilità di provare qualcosa di diverso.
Questi corsi brevi sono stati per me sempre molto più proficui rispetto alle lezioni normali, innanzitutto perché si tratta di una full-immersion e quindi ci si trova molto più coinvolti, in secondo luogo perché si lavora in un gruppo e si ha la possibilità di assistere anche alle lezioni degli altri partecipanti.
Consiglierei ai maestri di canto di cercare di mettere a proprio agio l’allievo e di incoraggiarlo (questa per me è una componente fondamentale), perché lo stato d’animo di chi canta influenza molto la resa vocale e anche interpretativa; e di tentare di essere chiari ed obiettivi quando si parla di fisiologia e quando si spiega la tecnica vocale, perché i concetti di base sono tutt’altro che scontati. Spesso mi è capitato di pensare di aver colto le indicazioni datemi, mentre in realtà mi si chiedeva di fare tutt’altro.
Infine bisognerebbe creare delle occasioni di confronto e scambio tra allievi diversi e da ultimo tenersi sempre aggiornati!
L’intervista al maestro Juvarra è illuminante: molto interessanti soprattutto le due argomentazioni sull’origine della “sofferenza che accompagna lo studio del canto”e che nasce “perché di solito l’insegnante non è consapevole della dimensione della naturalezza ..”. A tal proposito chiederei però di commentare le ultime righe che qui riporto e che mi risultano un po’ oscure.. forse per via della mia ancor breve esperienza nello studio del canto: “Il primo spazio di risonanza che trova è lo spazio verticale modellato sulle vocali scure come la “o” . E' compito dell’insegnante fermarlo e indirizzarlo verso un'altra emissione senza dare troppo credito ad un suono che, benché squilibrato nella coordinazione delle cavità di risonanza, può essere tutto sommato accettabile nella zona centrale in relazione alla rotondità, al volume ecc.”


Il Maestro Antonio Juvarra risponde a Francesca

Abbiamo girato la richiesta di chiarimento direttamente al Maestro Antonio Juvarra. Ecco la sua risposta.

"Cerco di spiegarmi meglio. Nel settore centrale e grave della voce tende a emergere la componente del suono chiamata corposità (che niente ha a che fare con la potenza e la capacità di 'correre' della voce). Se questa componente non è correttamente bilanciata con le altre due componenti (brillantezza e morbidezza), essa determina un abbassamento del senso (mentale) della giusta 'posizione', giusta posizione che è data dalla 'proporzione aurea' tra queste tre componenti e che è quella che consente alla voce di 'galleggiare' e 'fluire' con facilità.
La pesantezza che ne consegue verrà in evidenza soparttutto nel settore acuto, mentre nel settore centrale il suono presenterà caratteristiche di voluminosità scura, che possono dare l'illusione del suono 'importante' e già maturo.
Al giorno d'oggi le tendenze didattiche più diffuse privilegiano uno spazio di risonanza prevalentemente o esclusivamente 'verticale' (cioè modellato sullo 'sbadiglio' e/o sull'uso squilibrato di vocali 'verticali' come la 'o' e la 'u'), che aumenta questo senso di 'rotondità' e consistenza del suono, a scapito dellla corretta sintonizzazione .La conseguenza è che salire alle note acute diventa possibile solo spingendo la voce (manovra scambiata per 'appoggio') e aprendo al massimo e/o rigidamente la gola, magari con una manovra localizzata, invece che 'olistica'.
Anticamente si rischiava probabilmente di cadere nell'eccesso opposto ('sorriso' più o meno meccanico), escludendo, ancora una volta, una cavità di risonanza (questa volta la gola), col risultato di schiacciare e schiarire eccessivamente iil suono.
Ovvio che l'deale belcantistico del 'chiaroscuro' può essere ottenuto solo trovando l'accordo armonico tra gola e bocca, ciò che a sua volta è reso possibile dal giusto respiro (non lo sbadiglio, ma il sospiro di sollievo e la 'boccata' d'aria 'rigeneratrice') e dal giusto 'dire sul fiato'" Antonio Juvarra

Il rapporto all’interno della mia classe è spesso conflittuale e diffidente nei confronti del maestro. Ciò scaturisce dal fatto che tutti noi allievi presentiamo i medesimi problemi; pur ritenendo che egli spesso dice cose giuste, non riesce a trovare il modo per farsi capire ed offrire validi esempi. D’altro canto questa “mancanza” ci porta ad analizzarci con un'attenzione quasi maniacale, a prediligere lo studio di gruppo per attingere ciascuno dalle parole dell’altro e, dai vari giudizi di ascolto, risalire alle
“ verità”che ricerchiamo.
Il rapporto potrebbe migliorare se l'insegnante tenesse sempre presenti le difficoltà che egli stesso ha avuto all’inizio dei suoi studi (sempre che le abbia avute), se fosse capace di percepire la sensibilità dell’allievo in modo da non urtarla e sapesse davvero cogliere le sue vere difficoltà e i suoi reali problemi ascoltandolo, costruendo un metodo personale fatto di studio profondo della fisiologia, innanzitutto, e delle dinamiche, di vocalizzi ad personam ed instaurando con lui un rapporto di fiducia.
Spesso non ci sentiamo apprezzati dal nostro maestro, ottenendo invece riscontri positivi delle nostre qualità da persone che, per carriera, possono essere considerate anche superiori a lui e che definiscono le nostre voci “oro colato”. Eppure assistiamo ad un'incapacità - e a volte ad una mancanza di volontà - da parte del nostro docente ad indicarci la giusta strada per modellare queste nostre qualità.
Ho pensato molte volte di cambiare insegnante, ma poi ho capito che i veri insegnanti siamo noi stessi: un buon allievo che ha ben compreso un concetto può rivelarsi anche migliore di un ottimo mastero. Per cui prediligo l’ascolto, non solo vocale, ma anche la percezione di sensazioni di insegnanti e allievi. Poi bisogna provare se tali sensazioni calzano bene su noi stessi scegliendo ciò che va bene per noi. Certo, occorre una capacità di analisi e di discernimento che si acquisisce nel tempo...
Ritengo che alcuni insegnanti siano migliori per quanto riguarda lo studio delle arie e dell’espressione.
Un consiglio che in base alla mia esperienza darei agli insegnanti di canto è quello di ascoltare sempre i propri allievi, di non iniziare un lavoro trascurando le basi - come la respirazione, pensando che poi verrà da se - e di valorizzare le voci. Lo stato d’animo di sofferenza dell’allievo impegnato nella ricerca della giusta tecnica, dovrebbe sempre essere confortato e sostenuto da un buon insegnante.

 

 

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