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LA CLEMENZA DI TITO di Wolfgang Amadeus Mozart   -   Trama, Libretto, Opera completa e Personaggi

Frontespizio libretto

La clemenza di Tito (K 621),  ultimo lavoro teatrale di Wolfgang Amadeus Mozart, è un'opera seria in due atti, su libretto di Caterino Mazzolà basato su un melodramma di Pietro Metastasio del 1734.

Fu rappresentata per la prima volta il 6 settembre 1791 al Teatro degli Stati di Praga, in occasione dei festeggiamenti per l'incoronazione di Leopoldo II a re di Boemia.
La risposta del pubblico fu piuttosto fredda e la moglie di Leopoldo, Maria Luisa di Borbone, definì l’opera «una porcheria tedesca in lingua italiana». Il giudizio era fondato sul fatto che la mano del librettista, Caterino Mazzolà, aveva per molti versi stravolto il vecchio libretto di Metastasio, al punto da rendere irriconoscibile il dramma agli orecchi di chi, per esempio, era abituato alle versioni musicali di Antonio Caldara, Gluck o Hasse.

Il libretto fu scelto dall'impresario del Teatro degli Stati di Praga, Domenico Guardasoni, che si recò a Vienna per contattare il poeta di corte. L'incoronazione di Leopoldo II, succeduto al fratello Giuseppe II, non aveva risparmiato il mondo musicale viennese: nella primavera del 1791, il poeta Lorenzo da Ponte, autore della memorabile "trilogia" mozartiana (Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte), era stato infatti licenziato e sostituito da Giovanni Bertati.

Per la musica, Guardasoni scelse Mozart, che accettò subito l'offerta. Tuttavia, secondo alcune fonti, Guardasoni avrebbe prima contattato Antonio Salieri, e solo dopo il rifiuto di costui si sarebbe rivolto (come per ripiego) a Mozart. Infatti, in una lettera al conte Anton Estheràzy (agosto 1791), Salieri scrive che l'impresario praghese lo aveva cercato cinque volte, supplicandolo di comporre un'opera per l'incoronazione a Praga. Salieri aveva però rifiutato col pretesto che egli poteva lavorare solo per il teatro della corte viennese. A quel punto Guardasoni si era rivolto a Mozart, ben sapendo che era l'unico compositore in grado di scrivere un'opera in tempo breve. Secondo le testimonianze dell'epoca, Mozart avrebbe impiegato "diciotto giorni" per scrivere la musica, ospite della famiglia della cantante Josepha Duschek a Villa Bertramka, assieme alla moglie Constanze; in realtà nel 1959 è stato scoperto da Tomislav Volek il contratto che l'8 luglio 1791 era stato stipulato tra la commissione teatrale degli stati boemi e l'impresario Guardasoni, fatto questo che smentisce la nota storia secondo cui l'opera sarebbe stata commissionata direttamente a Mozart e mette in serio dubbio la leggenda stesura in 18 giorni. Alcuni dei recitativi obbligati furono scritti dall'ultimo allievo di Mozart, Franz Xavier Süssmayr, ma vennero comunque controllati e migliorati da Mozart.

 

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Personaggi

  • Tito Vespasiano, Imperatore di Roma - tenore
  • Vitellia, figlia dell'Imperatore Vitellio - soprano
  • Servilia, sorella di Sesto, amante d'Annio - soprano
  • Sesto, amico di Tito, amante di Vitellia - soprano
  • Annio, amico di Sesto, amante di Servilia - soprano
  • Publio, prefetto del pretorio - basso
  • Coro

Trama

ATTO I
 
L'azione si svolge nell'antica Roma. Il recitativo di apertura vede in scena Vitellia, figlia dell'ex Imperatore Vitellio, e Sesto, amico dell’Imperatore Tito e amante della stessa. Ella cospira contro il nuovo Imperatore del quale è in realtà innamorata, seppur non ricambiata, e approfitta dell'amore che Sesto prova per lei per obbligarlo di aiutarla a organizzare una congiura. (N. 1, duetto: "Come ti piace imponi"). I dubbi di Sesto, diviso fra l'amore per Vitellia e la fedeltà a Tito, provocano l’ira della principessa (N. 2, aria:"Deh, se piacer mi vuoi"). Partita Vitellia, Annio e Sesto rinsaldano l'amicizia, e la suggellano con un delizioso duetto (N. 3, duetto:"Deh, prendi un dolce amplesso").

Cambia scena: nel Campidoglio, fastosamente addobbato, sopraggiunge l'imperatore Tito e la corte (N. 4, Marcia; N. 5, Coro: "Serbate, oh Dei, custodi"). Tito annuncia di aver rinunciato a sposare Berenice, una principessa barbara, poiché vuole unirsi con una donna romana. Sesto si avvicina a Tito insieme ad Annio, per chiedere il suo beneplacito alle nozze fra Annio stesso e Servilia, sorella di Sesto. Tuttavia entrambi scoprono amaramente che è proprio Servilia la donna romana che Tito intende sposare (N. 6, Aria: "Del più sublime soglio"). Annio, pur sgomento, per amore è disposto anche a perdere Servilia, ed esprime i suoi sentimenti in un magnifico duetto con Servilia (N. 7, Duetto: "Ah, perdona al primo affetto"). Servilia però confessa all'Imperatore l'amore che la lega ad Annio; Tito allora, in tutta la sua bontà, ammirando la sincerità dei due giovani, rinuncia alle sue nozze con lei (N. 8, Aria: "Ah se fosse intorno al trono").

Nel frattempo Vitellia, non essendo a conoscenza del rifiuto di Servilia, impazzisce di gelosia e ordina a Sesto di dar fuoco al Campidoglio ed assassinare Tito; Sesto, accecato dall'amore per Vitellia, le obbedisce e si dichiara pronto a uccidere l'amico (N. 9, Aria con clarinetto obbligato: "Parto, ma tu ben mio"). Non appena questi è partito, da Vitellia giungono Annio e Publio, prefetto del Pretorio, i quali le annunciano che Tito ha scelto lei come sua sposa: la principessa rinsavisce e tenta invano di richiamare Sesto (N. 10, Terzetto: "Vengo...Aspettate...Sesto!"). Sesto, pur angosciato da continui rimorsi e esitazioni, intende tuttavia accontentare Vitellia, e riesce infine a svolgere il compito che gli è stato assegnato (N. 11, recitativo accompagnato: "Oh dei che smania è questa!"). L'incendio del Campidoglio e la notizia della congiura radunano tutti i personaggi e la folla sulla scena. Il primo atto si conclude con il celebre concertato in cui il coro dei Romani e gli amici piangono la morte dell'amato Imperatore (N. 12, Quintetto con coro: "Deh, conservate oh dèi").
 
ATTO II
 
Scena prima: Annio informa Sesto che Tito in realtà è scampato alla congiura. Sesto, pentito e schiacciato dai sensi di colpa, confessa all'amico il suo tradimento e afferma di voler fuggire in esilio, ma Annio lo invita ad aver fiducia nella clemenza dell'Imperatore (N. 13, Aria: “Torna di Tito a lato”). Ma Sesto è stato scoperto. Giunge infatti Publio coi soldati ad arrestarlo mentre egli promette a Vitellia la sua fedeltà (N. 14, Terzetto: "Se al volto mai ti senti").

Cambia scena, gran sala delle udienze: appare in pubblico Tito e il popolo e i patrizi intonano un coro di ringraziamento agli dèi per avere risparmiato la vita dell’Imperatore nella fallita congiura (N. 15, cavatina con coro: "Ah, grazie si rendano"). Tito è certo dell'innocenza di Sesto, ma Publio gli fa notare che chi non è capace di tradire, non capisce quando è tradito (N. 16, Aria: "Tardi s'avvede"). Tito viene dunque informato che il Senato ha già emesso la condanna a morte, a cui manca solo la firma dell'imperatore, poichè Sesto in persona ha confessato la sua congiura. Sopraggiunge Annio a perorare la causa dell'amico, confidando nella clemenza e nel gran cuore di Tito (N. 17, Aria: "Tu fosti tradito"). L'Imperatore, incredulo, è quasi sul punto di firmare la condanna a morte, ma decide infine di incontrare Sesto di persona prima di prendere qualsiasi decisione (Recitativo accompagnato: “Che orror! Che Tradimento!"). I due si vedono, e sono colti da grande emozione (N. 18, Terzetto: "Quello è di Tito il volto"); Tito decide di perdonare Sesto per il tradimento, ma questi, pur di non tradire Vitellia, non intende confessare il motivo per cui ha attentato alla sua vita e dichiara di meritarsi la morte, pur continuando a nutrire sentimenti di amicizia verso Tito e implorandone il perdono (N. 19, Rondò con clarinetto obbligato, "Deh, per questo istante solo"). L'Imperatore, adirato, lo condanna alle fiere; ma, nella celebre scena cara a Voltaire, straccia la condanna  che aveva firmato: "E se accusarmi il mondo vuol pur di qualche orrore / m'accusi di pietà, non di rigore". Afferma però davanti a Publio che la condanna è stata sottoscritta, ed esalta la figura del principe illuminato (N. 20, Aria: "Se all'impero, amici dèi").

Nel frattempo Vitellia è addolorata per la sorte di Sesto; Servilia la implora di chiedere la grazia per il fratello condannato, in qualità di futura sposa. Tuttavia, di fronte alla sua indecisione, ella s’indigna e ne critica l’ambiguità (N. 21, Aria: "S'altro che lacrime"). Colpita dalle parole di Servilia, Vitellia decide di rinunciare al trono e alle nozze e confessa la sua congiura all'Imperatore. (N. 22, Recitativo accompagnato: "Ecco il punto, o Vitellia"; N. 23, Rondò con corno di bassetto obbligato: "Non più di fiori").

Cambia scena: nell'anfiteatro il popolo celebra la grandezza di Tito (N. 24, Coro: "Che del ciel, che degli dèi"). Mentre Tito sta per condannare Sesto, sopraggiunge Vitellia che rivela di essere la seduttrice del suo amico e la mandante del delitto. L'Imperatore, sbalordito dalle nuove rivelazioni, decide tuttavia di perdonare tutti (N. 25, Recitativo accompagnato: "Ma che giorno è mai questo!"), e compie un eccezionale atto di clemenza: "Sia noto a Roma ch'io son lo stesso, e ch'io tutto so, tutti assolvo e tutto oblio".
L'opera si conclude con i protagonisti e il popolo romano che esaltano la clemenza di Tito, anche se Sesto non riesce ancora a perdonarsi di averlo tradito (N. 26, Sestetto con coro: "Tu, è ver, m'assolvi, Augusto").
 

Guarda l'Opera

Registrazione live dal Festival di Salisburgo del 2003. Cast: Michael Schade - Tito, Vesselina Kasarova - Sesto, Dorothea Röschmann - Vitellia, Elina Garanca - Annio, Barbara Bonney - Servilia
Rappresentazione a Droggningholm nel 1988.

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